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Difficoltà trattate

Difficoltà trattate

L’inquadramento diagnostico, ovvero l’identificazione del problema che la persona porta quando arriva all’attenzione di uno psicoterapeuta, serve semplicemente per capire come aiutarla in modo più efficiente ed efficace. Un inquadramento diagnostico è necessario per poter dare un nome alla difficoltà portata dalla persona. Inoltre, molto spesso, quel nome è importante per la persona stessa perché le serve per capire la difficoltà di cui soffre.

Queste sono alcune delle problematiche più conosciute, di cui io mi occupo.

I disturbi d’ansia

L’ansia è un emozione caratterizzata da sensazioni di tensione, minaccia, preoccupazioni e modificazioni fisiche, come aumento della pressione sanguigna. Le persone con Disturbi d’Ansia solitamente presentano pensieri ricorrenti e preoccupazioni. Inoltre, possono evitare alcune situazioni come tentativo di gestire (o non affrontare) le preoccupazioni. I sintomi fisici dell’ansia più frequenti sono sudorazione, tremolio, tachicardia e vertigini/capogiri. La parola ansia, dal latino angere ossia “stringere”, comunica molto bene la sensazione di disagio vissuta da chi soffre di uno dei disturbi legati al suo spettro, ovvero l’idea di costrizione, di imbarazzo e di incertezza sul futuro. L’ansia, infatti, è uno stato caratterizzato da sentimenti di paura e di preoccupazione non connessi, almeno apparentemente, ad alcuno stimolo specifico, diversamente dalla paura che presuppone un reale pericolo. 

Stando alle indicazioni fornite nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (quinta edizione; DSM–5; American Psychiatric Association, 2013), i disturbi d’ansia differiscono dalla normale paura o ansia evolutive perché sono eccessivi o persistenti (durano tipicamente 6 mesi o più) rispetto allo stadio di sviluppo. Molti disturbi d’ansia si sviluppano in età infantile e tendono a persistere quando non curati. La maggior parte è più comunemente diffusa nella popolazione femminile, con un rapporto di 2:1 rispetto ai maschi. 

I disturbi dell’umore

disturbi dell’umore sono spesso definiti anche disturbi dei ritmi cronobiologici in quanto la loro causa, seppur in larga misura misconosciuta, sembra strettamente connessa ai ritmi ormonali-organici. È proprio questa la caratteristica fondamentale che li contraddistingue dalle altre depressioni. Sono patologie che si manifestano con fasi caratterizzate da tipici sintomi quali il sentirsi tristi e abbattuti (umore deflesso), rapidi e improvvisi cambiamenti emotivi (labilità emotiva), la mancanza di energie e la mancanza di voglia ad agire anche cose che normalmente provocherebbero piacere ai soggetti colpiti.

La comparsa delle fasi si collega alle stagioni, con manifestazioni più frequenti in autunno ed in primavera, sebbene ciascun individuo affetto possa identificare una propria stagionalità, con episodi non necessariamente legati al cosiddetto cambiamento di stagione, ma magari al caldo dell’estate, piuttosto che al grigiore ed al buio dell’inverno. Altro elemento importante nella malattia dell’umore è la polarità, che consta nel ripresentarsi di episodi depressivi (disturbo depressivo), oppure l’alternarsi di sindromi depressive a fasi di segno opposto, euforiche o maniacali (disturbo bipolare).

I disturbi della personalità

La personalità è il peculiare modo di pensare, sentire e comportarsi che ci distingue gli uni dagli altri. La personalità di ciascuno di noi è influenzata dalle esperienze che facciamo, dall’ambiente nel quale cresciamo e da aspetti ereditari. La caratteristica della personalità è quella di rimanere stabile nel tempo.

I disturbi della personalità sono modelli disadattivi di pensiero, e comportamento a lungo termine che differiscono significativamente da ciò che ci si aspetta, cioè si discostano dalle norme e dalle aspettative sociali del proprio ambiente di riferimento. Se non diagnosticati e adeguatamente trattati causano problemi interpersonali, inadeguate capacità di coping e sofferenza per tutto l’arco di vita, dal momento che la struttura della personalità si sviluppa precocemente tende a rimanere stabile nel tempo. Spesso il comportamento è egosintonico, cioè è coerente e funzionale rispetto all’immagine di sé, e quindi è percepito come appropriato, questo contribuisce alla rigidità e pervasività in più aree di vita.

I disturbi del comportamento alimentare

I disturbi del comportamento alimentare (o disturbi alimentari) rappresentano una delle più frequenti cause di disabilità giovanile e a essi si associa un rischio elevato di mortalità. Sul piano epidemiologico la prevelenza lifetime dell’anoressia nervosa e della bulimia nervosa si aggirano rispettivamente intorno allo 0,9% all’1,5%, nel genere femminile, mentre in quello maschile le percentuali sono 0,3 per l’anoressia e 0,5 per la bulimia. La prevalenza dei disturbi della nutrizione e della alimentazione nei giovani aumenta tra l’infanzia e la prima adolescenza e tra i 10 e i 13 anni la sintomatologia dei disturbi alimentari è presente all’interno di popolazioni non cliniche a livelli molto simili rispetto a quelli di popolazioni adolescenti, inoltre ad una maggiore sintomatologia a 9 anni corrisponde il più alto rischio di sviluppare una maggiore sintomatologia a 12 anni. Questo suggerisce come sia importante identificare quali siano le condizioni che favoriscono lo sviluppo di questi disturbi ben prima dell’adolescenza.

L’inquadramento diagnostico dei disturbi della nutrizione e della alimentazione si attua a livello ambulatoriale e prevede che il paziente venga valutato a livello clinico, nutrizionale e psicologico. Si tratta di condizioni cliniche che presentano elevata comorbilità clinica e psichiatrica che deve essere indagata. La valutazione internista comprende dunque la valutazione clinica – anamnestica, nutrizionale, della condotta alimentare e della spesa energetica. Nel corso della valutazione clinico-anamnestica dei disturbi della nutrizione e della alimentazione ci si occupa di eseguire un’attenta raccolta anamnestica unitamente all’esame obiettivo e alla prescrizione di una serie di esami tra cui l’esame delle urine, l’emocromo completo, la glicemia, il test per la funzionalità epatica, l’assetto lipidico, la creatininemia, l’azotemia, il BMI.

Lutto, perdita e trauma

Chiunque abbia vissuto un lutto traumatico, con le sue connotazioni di esperienza inattesa e violenta, ne comprende le caratteristiche di estrema drammaticità, di perdita improvvisa della prevedibilità ed anticipabilità degli eventi, di scossa profonda agli abituali parametri di riferimento e di rappresentazione della propria esistenza. Al lutto traumatico segue forte l’esperienza di frattura del sé, l’impossibilità del fare e di elaborare un senso a quanto successo: il trauma rappresenta l’interruzione, la cesura della continuità di rapporti, di progetti, di significati conferiti al sé e al mondo.

Qual è la discriminante che favorisce una più facile risoluzione del lutto, se non la qualità ed il significato del legame sotteso? 
Parlare di lutto implica il parlare di una relazione d’amore che entra in crisi, di una separazione obbligata, ad opera della vita o delle scelte altrui. Ebbene, in funzione del tipo di legame instaurato con la persona cara, il processo di risoluzione del lutto avrebbe una finalità differente. Ecco perché ripristinare la ricchezza descrittiva delle dimensioni con cui può configurarsi un legame renderebbe ragione ai diversi modi e tempi di elaborazione del lutto.

Stress

Lo stress è una risposta psicofisica a compiti anche molto diversi tra loro, di natura emotiva, cognitiva o sociale, che la persona percepisce come eccessivi. Fu Selye il primo a parlare di stress, definendolo come una risposta aspecfica dell’organismo ad ogni richiesta effettuata su di esso. In base alla durata dell’evento stressante è possibile distinguere due categorie di stress: se lo stimolo si verifica una volta sola e ha una durata limitata si parla di ‘stress acuto’, se invece la fonte di stress permane nel tempo si utilizza l’espressione ‘stress cronico’. Lo stress cronico propriamente detto dura a lungo, investe diverse sfere di vita e costituisce un ostacolo al perseguimento degli obiettivi personali. Si definisce, infine, ‘stress cronico intermittente’ un quadro di attivazione da stressche si presenta ad intervalli regolari, con una durata limitata e un buon livello di prevedibilità. Accanto alla distinzione sulla base della durata è possibile individuare due categorie sulla base della natura degli eventi stressanti. In molti casi gli stressor sono nocivi e possono portare ad un abbassamento delle difese immunitarie – si parla quindi di distress. In altri casi, invece, gli stressor sono benefici, poiché favoriscono una maggior vitalità dell’organismo – si utilizza in questo caso l’espressione eustress.

Gran parte dello stress della nostra quotidianità deriva dall’attività lavorativa. I ritmi sempre più sostenuti e le richieste pressanti delle aziende, oltre alla crescente tendenza ad identificarsi con il proprio lavoro, determinano spesso un grande investimento di risorse che, prolungato nel tempo, può intaccare seriamente il nostro benessere. Diverse patologie psichiche, come stress, ansia e panico, possono generarsi da un ambiente lavorativo poco sano e compromettono le risorse individuali. Per questo motivo chi si occupa di Risorse Umane è oggi chiamato più che mai a favorire la diffusione del benessere organizzativo, a motivare e a prevenire il senso di frustrazione. Richieste eccessive e protratte nel corso del tempo sul posto di lavoro possono dare origine alla “sindrome del burn-out”, una vera e propria forma di esaurimento derivante dalla natura di alcune mansioni professionali. Il termine “burn-out” deriva dall’inglese e letteralmente significa essere bruciati, esauriti, scoppiati. Il termine è stato preso in prestito dal mondo dello sport, dove viene usato per indicare la condizione di un atleta che, dopo vari successi e nonostante la perfetta forma fisica, non riesce più a conseguire buoni risultati. La sindrome del burn-out è una malattia professionale e chi ne soffre può essere definito un “bruciato” dal troppo lavoro. Il soggetto colpito da burn-out manifesta alcuni sintomi, quali nervosismo, insonnia, depressione, senso di fallimento, bassa stima di sé, indifferenza, isolamento, rabbia e risentimento.

Difficoltà relazionali e affettive

La qualità delle nostre relazioni è determinante per il nostro benessere. Può accadere che i rapporti per noi significativi comportino fatica di gestione e sofferenza dovuta a diversi fattori tra cui: intensa conflittualità, comunicazione poco efficace, difficoltà a comprendersi, rancori, senso di solitudine, aspettative irrealistiche. Lo psicologo psicoterapeuta può supportare la comprensione della natura delle difficoltà relazionali e l’attivazione di risorse per individuare nuove modalità di rapporto più in sintonia con il benessere soggettivo.
In certi casi può essere utile allo psicologo psicoterapeuta incontrare tutti gli attori della relazione problematica per riuscire ad intervenire sul problema con maggiore efficienza e in maniera più incisiva (ad es. terapia di coppia o terapia della famiglia).